Sono sempre di più gli italiani che scelgono di affidarsi alla cedolare secca per la gestione di seconde e terze case concesse in locazione. I dati diffusi dal Dipartimento delle Finanze mostrano un gradimento crescente per questa formula facoltativa applicabile sui redditi prodotti dall'affitto dei propri immobili, in alternativa alle più tradizionali Irpef, imposte di bollo e di registro. La cedolare secca, come abbiamo spiegato in modo approfondito, è un regime di tassazione alternativo al quale può aderire chi percepisce redditi dalla locazione di immobili o chi gode di diritti reali su di essi.
Nel 2021, la cedolare secca ha convinto oltre 2,9 milioni di contribuenti italiani, generando un imponibile per le casse dello Stato di oltre 18 miliardi di euro, con un incremento del 5% rispetto al 2020. L'imposta dichiarata ammonta a oltre tre miliardi e 100 milioni di euro, di cui il 79% deriva dall'applicazione dell'aliquota del 21%. Secondo le recenti statistiche diffuse dal Dipartimento delle Finanze, si evidenzia una crescita dei redditi derivanti da immobili locati soggetti alla tassazione sostitutiva, nota come cedolare secca. In particolare, si è registrato un aumento del 2,2% per coloro che adottano una flat tax del 21% e un incremento dell'8,9% per chi affitta l'immobile a canoni concordati, applicando quindi una cedolare secca del 10%.
Il 48% dei contribuenti che hanno scelto l'aliquota al 21% ha un reddito compreso tra i 20.000 e i 50.000 euro, così come il 49% di chi ha optato per la flat tax al 10%. La distribuzione regionale mostra che l'utilizzo della cedolare secca al 21% è prevalente in Lombardia (22,5% dei soggetti), mentre quella al 10% prevale nel Lazio (17,5% dei soggetti).
Confrontando i dati del 2020 con quelli del 2021, la crescita più marcata del ricorso alla cedolare secca si è registrata al Sud Italia (+6,9%) e nelle isole (+9,7%).